Pettenelle e cantinelle a Cividale fra Medioevo e Rinascimento
TABULÆ PICTÆ
a cura di
Maurizio d’Arcano Grattoni
SilvanaEditoriale
Pettenelle e cantinelle a Cividale fra Medioevo e Rinascimento
TABULÆ PICTÆ
Cividale del Friuli (UD)
Museo di Palazzo de Nordis
13 luglio - 29 settembre 2013
In copertina
Testa maschile, pettenella,
quarto decennio del XVI secolo.
Cividale del Friuli (UD),
Museo di palazzo de Nordis
Mostra promossa e organizzata da
Accademia Musicale-Culturale
Harmonia di Cividale del Friuli
Direzione Regionale per i Beni Culturali
e Paesaggistici del Friuli Venezia Giulia
Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici
ed Etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
DIPARTIMENTO DI STORIA
E TUTELA DEI BENI CULTURALI
Silvana Editoriale
Progetto e realizzazione
Arti Grafiche Amilcare Pizzi S.p.A.
Direzione editoriale
Dario Cimorelli
Art director
Giacomo Merli
Con il sostegno e il patrocinio di
Mostra e catalogo a cura di
Maurizio d’Arcano Grattoni
Comitato scientifico
Luca Caburlotto, Maria Grazia Cadore,
Paolo Casadio, Maurizio d’Arcano Grattoni,
Caterina Furlan, Valentino Pace
Comitato organizzativo
Elisabetta Crucil, Maurizio d’Arcano Grattoni,
Francesco Fratta, Paola Gasparutti,
Simone Rossi, Giuseppe Russo, Daniele Stringher
Testi di
Elisabetta Arrighetti, Nicola Badan,
Enrico Bonessa, Sara Bianchin,
Maurizio d’Arcano Grattoni,
Lorenzo Di Lenardo, Monica Favaro,
Francesco Fratta, Arianna Gambirasi,
Erica Martin, Mario Marubbi,
Elisa Morandini, Paolo Pastres,
Giuseppina Perusini, Alessandra Quendolo,
Gianfranco Santini, Elisabetta Scarton,
Cristina Vescul, Alba Zanini, Paolo Zerbinatti
Allestimento
Redazione
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Fotoriproduzioni
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Impaginazione
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Coordinamento organizzativo
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Con il patrocinio di
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© 2013 Silvana Editoriale S.p.A.
Cinisello Balsamo, Milano
Con il contributo di
Ringraziamenti
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Antonio Bravo, Carlo Cantoni, Paolo
Casadio, Oldino Cernoia, Romano Cressa,
Claudio Crosera, Mirco Cusin,
Lionello D’Agostini, Ugo De Mattia,
Franca Deponte, Denise Flaim,
Pietro Fontanini, Roberto Forgiarini,
Claudia Franceschino, Elisabetta Gottardo,
Morena Maresia, Giangiacomo Martines,
Mario Marubbi, Susanna Massera,
Fabio Pagano, Pietro Picotti, Simone Rossi,
Gianfranco Santini, Daniele Stringher,
Francesca Tamburlini, Pierino Tolazzi,
Diego Vailati
Con la partecipazione di
Sommario
15
Introduzione
58
M AU R I Z I O D ’ A R C A N O G R AT T O N I
V. La cultura a Cividale fra basso Medioevo
e primo Rinascimento
ELISA MORANDINI
CIVIDALE FRA XIV E XVI SECOLO
18
64
I. Il Medioevo, l’età dell’oro di Cividale
PETTENELLE E CANTINELLE
95
VI. L’arte della stampa in Friuli
nel Quattrocento: un primato cividalese
LORENZO DI LENARDO
ELISABETTA SCARTON
68
24
II. Società e ricchezza nella Cividale
del basso Medioevo
VII. Itinerario tra le maggiori testimonianze
artistiche del Trecento e della prima metà
del Quattrocento
ELISABETTA SCARTON
CRISTINA VESCUL
X. Soffitti lignei dipinti in Friuli
tra basso Medioevo e primo Rinascimento
F R A N C E S C O F R AT TA
108
161
XVI. «Di rosso alla fascia d’argento».
L’araldica cividalese quale fonte documentaria
ENRICO BONESSA
168
XI. Appunti sulla fortuna delle tavolette
da soffitto in Lombardia
XVII. Dalla gonnella alla giornea:
i costumi nelle pettenelle di Cividale
tra Gotico e Rinascimento
ERICA MARTIN
MARIO MARUBBI
175
114
XII. Materiali e tecniche esecutive
delle pettenelle friulane
XVIII. La rappresentazione delle armi
nelle pettenelle tra XV e XVI secolo
F R A N C E S C O F R AT TA
G I U S E P P I N A P E R U S I N I , M O N I C A F AVA R O
37
III. Lo sviluppo urbano: le mura dei borghi.
Conoscere per conservare
77
VIII. Arte a Cividale tra il 1450 e il 1550
PAO L O PA S T R E S
182
122
ALESSANDRA QUENDOLO, NICOLA BADAN
88
48
XIII. Indagini microchimiche
e spettroscopiche per la caratterizzazione
dei materiali pittorici utilizzati in alcune
pettenelle friulane
XIX. Strumenti musicali in pettenelle
del Friuli tardogotico
PAO L O Z E R B I NAT T I
IV. «Sia la chasa spechio del spirito»: abitare
in Cividale fra Medioevo e Rinascimento
IX. «Tre luganigi per chantar»:
luoghi e occasioni per far musica
a Cividale nel Quattrocento
SARA BIANCHIN, ARIANNA GAMBIRASI,
XX. Le pettenelle parlano:
ricordi di un collezionista
M AU R I Z I O D ’ A R C A N O G R AT T O N I
ALBA ZANINI
M O N I C A F AVA R O
GIANFRANCO SANTINI
129
136
XIV. Tecniche esecutive di tavolette lignee
da soffitto quattrocentesche lombarde:
alcuni casi tra Bresciano e Cremonese
191
APPARATI
ELISABETTA ARRIGHETTI
196
XV. Soffitti lignei dipinti
a Cividale del Friuli
202
F R A N C E S C O F R AT TA
204
Appendice I: Camerari e acquirenti
dei dazi a Cividale
Appendice II: La professione dei camerari
e dei daziari cividalesi tra Tre e Quattrocento
Bibliografia
I. Il Medioevo, l’età dell’oro di Cividale
ELISABETTA SCARTON
La storia di Cividale affonda le radici in un passato
molto lontano e di questo erano consapevoli anche i
suoi abitanti, in particolare quelli vissuti nel basso Medioevo, che difesero la loro ‘terra’ non solo sul piano
militare, ma anche su quello culturale, attenti alla dignità che essa si era conquistata in secoli di vita. Principali duellanti della singolar tenzone furono Cividale
e Udine.
Cos’era Udine agli occhi di un cividalese del Quattrocento, se non una ‘neonata’ irriverente? Quel centro
che ora si contendeva il favore del patriarca era citato
la prima volta in documenti del X secolo e per lungo
tempo il toponimo aveva identificato un castello e un
borgo di case arroccate su un colle sparuto in mezzo
a una piana acquitrinosa1. Udine non aveva un passato glorioso da rivendicare, né romano né longobardo,
eppure, da Bertoldo di Andechs in poi, i patriarchi avevano cominciato a prediligerla, a risiedervi con sempre maggior frequenza e continuità, mettendo in ombra le ‘terre’ circostanti2. Al tramonto del Medioevo le
schermaglie e le rivendicazioni su un ideale diritto di
precedenza duravano ormai da un paio di secoli e si
protrassero anche in seguito. Lo stesso De restitutione
patriae, scritto dal cividalese Nicolò Canussio tra 1497
e 1499, altro non era che una forte presa di posizione
per ricordare le origini della sua città e sottolinearne la
preminenza tra le ‘terre’ patriarcali. «Restituenda igitur patria est, vel quantum historica veritas patitur»,
annunciava solenne nella chiusa del primo capitolo3.
Per la sua ottima posizione – su un pianoro rialzato in
prossimità del Natisone, che ne garantiva al contempo l’approvigionamento idrico e la difesa – l’area su
cui oggi sorge Cividale fu scelta come insediamento
sin dal Paleolitico medio. Più tardi divenne centro importante di quella rete di comunicazioni tra le regioni
transalpine e l’area altoadriatica, mentre in età romana
18
il territorio fu oggetto di interventi tesi a rinsaldare le
funzioni di controllo del baluardo naturale costituito
dall’arco alpino orientale e difendere la colonia di Aquileia. Alla fondazione del forum, «un insediamento di
cittadini romani di piccole dimensioni» da collocare
in età cesariana, seguì a breve l’istituzione del municipium, come ente autonomo, indipendente da Aquileia4.
Se i pregevoli lacerti musivi conservati presso il Museo
Archeologico Nazionale ci parlano di un insediamento cittadino dalla fine del I secolo a.C., la doppia cinta
muraria rinforzata da torri – innalzata sempre in età
romana e in parte ancor oggi visibile – testimonia la
preoccupazione difensiva che Forum Iulii dovette avvertire nei confronti delle popolazioni germaniche,
sempre più pressanti ai confini dell’impero.
Tra tutte, quella che a Cividale ha lasciato le tracce maggiori è stata senza dubbio la dominazione longobarda.
Guidato da re Alboino, pare che nel 568 quel popolo
avesse varcato i confini della Venetia senza incontrare opposizione, insediandosi nelle terre circostanti il
castrum di Cividale, posto subito sotto il controllo di
Gisulfo. Come ha recentemente osservato Stefano Gasparri, se da un lato l’Historia Langobardorum del friulano Paolo Diacono rappresenta una straordinaria fonte scritta per conoscere queste vicende, dall’altro essa
è singolarmente silenziosa proprio per quel che concerne Cividale. Ciò che si evince è comunque un ruolo centrale di Forum Iulii: in mano a un’élite militare
scelta, il primo ducato longobardo era assurto a centro
principale della regione, surclassando Aquileia. I secoli
VII e VIII scivolarono tra successioni più o meno tormentate, faide interne e guerre difensive (memorabile
ad esempio quella contro gli Avari nel 610), mentre la
società andava trasformandosi. Oltre a mettere in risalto l’impronta cittadina assunta nel tempo dall’antica
Forum Iulii, le sue necropoli mostrano infatti come,
trascorso un certo lasso di tempo, gli invasori longobardi non si distinguessero più così nettamente dagli
indigeni5.
Il processo longobardo di romanizzazione si può considerare completo quando Cividale assunse la sostanza,
se non il titolo, di civitas. Priva di una sede episcopale,
essa non era una vera città, secondo i canoni medievali. Ecco allora l’idea dei duchi friulani di spostare la
cattedra vescovile di Zuglio, favoriti in ciò dal fatto che
alcuni vescovi di quella piccola sede tra le montagne
della Carnia (Fidenzio e Amatore) avevano da tempo
scelto di risiedere a Cividale. Cosa rappresentasse ormai il centro sul Natisone, benché privo di una legittimazione ufficiale, lo si capisce guardando alla reazione
del patriarca Callisto. Per il presule, che in quel periodo
aveva abbandonato Aquileia e viveva a Cormons, era
insopportabile pensare di dover abitare in una sede
periferica mentre un altro vescovo era insediato nella
capitale ducale. Quella longobarda era un’élite militare,
ma si sentiva anche un’élite urbana e per diventarlo a
tutti gli effetti non esitava a ricorrere alla chiesa6.
E proprio la chiesa – qui come nel resto d’Italia – fu
il fulcro intorno a cui si strinse la società nel periodo
successivo, durante l’età carolingia e ancor più in seguito. I patriarchi aquileiesi assunsero il potere temporale
nella regione dal 1077, quando l’imperatore Enrico IV
cedette al presule Sigeardo il controllo sul Friuli, sulla marca di Carniola e sull’Istria7. La ‘sala comandi’ era
nella residenza patriarcale, attestata a Cividale già nel
1091 e destinata a trasformarsi presto in un palatium8.
L’immagine che trapela dalle fonti scritte – alcune decine di pergamene – evoca un ambiente simile a quello
di una corte regia, col patriarca-signore del Friuli circondato da uno stuolo di nobili che si spostano con lui
quando passa da una ‘terra’ all’altra (Aquileia, Cividale, Gemona...). Fino all’inizio del XII secolo si tratta di
aristocrazie di chiara origine carinziana, lentamente
sostituite da stirpi locali o che comunque lo diventano,
assumendo il nome a partire dalle roccaforti della zona,
di cui i membri erano di volta in volta infeudati: Cucagna, Attimis, Partistagno, tanto per fare alcuni esempi.
A Cividale, accanto a quest’aristocrazia ‘di castello’, una
di natura più spiccatamente cittadina cominciò a farsi
largo nel XII secolo. Pur rimanendo sfuggenti, figure
come quella dei milites Bernardo da Cerclaria o Swicherio ci parlano di un vivace protagonismo. Entrambi
titolari di ampie curtis entro le mura urbiche, seppero
guardare anche al di fuori della loro ‘terra’, molto al di
fuori. Alla fine del XII secolo da Cerclaria era patrono di
una nave di dimensioni notevoli, forse destinata al trasporto dei crociati in Oriente. E la Terrasanta, dalla quale non tornò, era sicuramente la meta di Swicherio nel
1213, non è chiaro se come semplice pellegrino o come
ambasciatore patriarcale, o forse entrambe le cose9.
Le loro famiglie e le rispettive discendenze – come altre
che via via consolidarono la presenza entro le mura e
nel territorio circostante – parteciparono in modo attivo alla vita politica, religiosa e sociale. I documenti ci
mostrano questi personaggi non solo nel ruolo di milites della corte patriarcale, intenti a cavalcare (anche
in armi) al seguito del patriarca, ma ancora nelle vesti
di canonici del capitolo, di frati francescani (dal 1244)
e domenicani (dal 1252), o di badesse e monache per
quel che concerne l’universo femminile10. Come ha
sottolineato Andrea Tilatti, tra i frati di entrambi gli
ordini mendicanti alcuni appartenevano «a famiglie
dell’aristocrazia libera e ministeriale del patriarca, oltre
che alla “classe media cittadina” […] e impersonavano i
robusti legami intercorrenti tra l’ordine e i ceti dirigenti
locali»11.
Tanto i religiosi domenicani quanto i francescani ebbero un ruolo importantissimo di mediazione civile: ne è
19
un esempio la composizione di uno scontro cittadino
avvenuto nel 1308 e ricordato da un cronista locale. In
un pomeriggio di metà maggio Cividale era stata messa
a ferro e fuoco da un gruppo di facinorosi guidati dalla
famiglia castellana degli Zuccola, penetrati in città col
favore dei Boiani per prenderne il controllo. Contro di
loro avevano risposto i de Portis con alcuni aderenti e,
secondo il canonico Giuliano da Cividale, a riportare
l’ordine era stato l’intervento dei frati predicatori12.
Anteriormente alla metà del Duecento le fonti documentarie cividalesi e quel che abbiamo scritto fino a
qui ci rimandano una visione deformata della realtà
urbana: pare che tutta la vita ruotasse intorno alle istituzioni ecclesiastiche. Indubbiamente il loro peso fu
notevole e, come abbiamo già detto, fu proprio intorno
alla chiesa che molti centri si coagularono nei momenti
difficili e durante i vuoti istituzionali. Ma si tratta appunto di una stortura. Complice proprio quel passato
storico che la rendeva la prima sede patriarcale – dopo
che i presuli avevano da tempo abbandonato Aquileia
–, Cividale fu probabilmente la prima ‘terra’ friulana
in cui prese forma quel regime politico che va sotto
il nome di Comune. A tutt’oggi la prima attestazione
risale al gennaio del 1250, ma doveva trattarsi di un
organo ormai maturo, benché stretto tra altri poteri che
ne limitavano l’autonomia13.
Fin dal suo sorgere, esso aveva infatti condiviso la scena con i due maggiori ufficiali patriarcali operativi in
città: l’avvocato e il gastaldo. Secondo Vincenzo Joppi
il primo era quello di più antica istituzione, detentore
della giurisdizione commerciale sul circulo fori e citato
almeno dal 1102. A Cividale la concessione del mercato
permanente fu tra l’altro la prima del patriarcato, risalente agli anni del presule Pellegrino I (1132-1161)14. Il
gastaldo – l’altra carica annuale concessa dal patriarca
dietro pagamento di una quota in denaro – si occupava
invece della giustizia minore, oltre che di presiedere il
consiglio cittadino15. Nei secoli finali del Medioevo era
quest’ultimo il vero cuore pulsante della ‘terra’.
Il consiglio era composto in linea di massima da una
quarantina di persone di diversa estrazione sociale: accanto alla componente aristocratica (riconoscibile dal
titolo di miles anteposto al nome), c’era un notabilato cittadino che con qualche libertà possiamo definire
‘alto-borghese’ (tra le cui fila risultano medici, notai,
20
commercianti) e infine una piccola rappresentanza di
artigiani16. La maggior parte era residente a Cividale,
ma non tutti vi erano nati. L’antica Forum Iulii, che
frattanto aveva cambiato il nome in Civitas Austriae,
nel corso del XIII secolo era stata meta di una migrazione importante. Qui, come un po’ in tutto il patriarcato,
le comunità ‘straniere’ maggiori erano state quella toscana (prima i Senesi, poi i Fiorentini) e quella lombarda, ma dalle pagine dei libri degli anniversari cividalesi
fanno capolino anche altre componenti giunte dall’area
padana in generale, dai paesi d’oltralpe (i vari ‘teotonici’
e pure qualche ‘ongaro’), o ancora dal ‘confine’ orientale
(Carniola, Istria, Croazia)17. Il suono di una campana
nella domus comunis annunciava le sedute, convocate
nella sala consiliare al momento del bisogno, spesso
quotidianamente e in qualche caso anche più di una
volta al giorno. Gli argomenti, discussi e verbalizzati
dal cancelliere, toccavano le più svariate materie, dalle
questioni politiche (relazioni diplomatiche, promulgazioni di nuove rubriche statutarie, decisioni di ordine
militare e difensivo, bandi) a quelle fiscali (imposizioni, multe, confische e uso del denaro); dalle giuridiche
(tregue e composizione di conflitti di livello minore) a
quelle socio-assistenziali (aiuto ai poveri, elemosine)18.
Nel corso del tempo il Comune si era ricavato margini
di autonomia sempre maggiori. Saldamente in mano
a un’oligarchia cittadina ristretta e ben delineata, il cui
avvicendamento semestrale era pressoché fittizio, nel
pieno Trecento il consiglio cividalese si spinse oltre,
troppo oltre. L’inasprirsi del confronto con Udine –
dove i presuli risiedevano ormai con sempre maggior
continuità – favorito anche dalla presenza sul soglio
patriarcale di un personaggio energico come Bertrando
di Saint Geniès, innescò una spirale di conflitti che dalla metà del XIV secolo vide le due città quasi sempre
in contrasto. Basta scorrere anche superficialmente la
Storia del Friuli compilata da Paschini per rendersene
conto: se c’era da scegliere come schierarsi, Cividale
mosse quasi sempre in direzione opposta rispetto a
Udine. Spesso il risentimento contro Udine e contro
il patriarca che la favoriva diventavano un tutt’uno. Se
Cividale rifiutava lo stravolgimento gerarchico delle
‘terre’ conseguente l’affermazione udinese e continuava a sentirsi forte in quanto «luogo liturgico del potere temporale dei patriarchi»19, gli stessi presuli erano
consapevoli della pericolosità di perdere il controllo su
quella comunità e sul suo territorio di pertinenza. Nel
basso Medioevo Udine sarà anche stata la cittadina più
popolosa, ma fuori delle mura la sua influenza si estendeva su nove villaggi, piccola cosa se confrontata con la
giurisdizione che Cividale deteneva su oltre sessanta20.
Come accennato, durante il patriarcato di Bertrando
la rivalità conobbe probabilmente le punte più elevate, fino a concludersi con il noto assassinio del presule
nell’estate del 135021. Il tragico evento segnò una temporanea tregua a un drammatico periodo, scandito da
scomuniche, interdetti e agguati tra i due fronti contrapposti: da un lato Udine e la famiglia Savorgnan,
eletti a paladini del patriarca; dall’altro Cividale, che
poteva contare sull’alleanza col conte di Gorizia e con
alcune famiglie castellane. Il successore di Bertrando
avviò una violenta opera di repressione. Nicolò di Lussemburgo prese subito posizione nei confronti della
nobiltà castellana per controllarne le spinte centrifughe e lo fece nel modo più brutale: catture e condanne
a morte dovevano servire da monito per il futuro. La
più esemplare fu senz’altro quella di Federico de Portis.
Secondo Pio Paschini, tre anni dopo l’uccisione di Bertrando il cividalese «confessò spontaneamente di aver
percosso di propria mano con due colpi il patriarca»22
e per questa ammissione pagò con la vita. Trascinato a
Udine, fu squartato e, con un macabro rituale, esposto
in quattro diverse porte cittadine23.
Nel parlamento del giugno del 1353 Nicolò di Lussemburgo dichiarava che tutti i responsabili dell’assassinio
del suo predecessore erano stati puniti24, ma il seme
della discordia interna al patriarcato era ormai ben radicato. Diverbi e animosità tra le due maggiori comunità a vocazione urbana furono una costante nell’età bassomedievale, con momenti di calma apparente seguiti
da periodi di conflitto più o meno marcato. Un’altra
fase critica si ebbe durante il patriarcato di Filippo d’Alençon (1381-1387). In quest’occasione il presule godeva del favore dei cividalesi, mentre era stato ostacolato
fin da subito da Udine, che avrebbe preferito che la
scelta papale cadesse su Ludovico di Helfingstain. L’appoggio al patriarca – negato da una parte e sbandierato dall’altra – fu ancora una volta motivo di rottura
tra Cividale e Udine, una guerra che si acuì tra il 1382
e il 1384; che nel 1385 vide la comunità sul Natisone
Pellegrino da San Daniele, polittico dei Battuti, 1526-1528,
parte centrale: Madonna con Bambino tra le quattro Vergini
aquileiesi, san Giovanni Battista, san Donato e un angelo musicante,
particolare con la Cividale. Cividale del Friuli (UD),
Museo di Palazzo de Nordis
I.1
rifiutare l’adesione alla ‘lega friulana’ promossa da Venezia per contrastare le mire sul Friuli di Francesco da
Carrara, e i cui toni si smorzarono solo nel 1387, dopo
che d’Alençon ebbe rinunciato al patriarcato25.
La situazione si ripresentò puntuale vent’anni più
tardi, e stavolta fu Cividale a non voler riconoscere
come capo spirituale della Patria il neoeletto Antonio
da Ponte. Tra l’estate e l’autunno del 1410 Cividale e
Udine aprirono nuovamente le rivalità in margine a un
conflitto più ampio, che vedeva contrapposti due schieramenti, uno facente capo al patriarca, l’altro al conte
Federico di Ortemburg26. Ma Cividale manifestò al meglio la propria autonomia decisionale quando – prima
tra le ‘terre’ friulane – nel 1419 fece atto di dedizione
alla Serenissima.
Nell’aprile del 1418, allo scadere della tregua quinquennale stipulata tra Venezia e l’imperatore Sigismondo,
la lotta per il controllo del Friuli tornò a infuriare; nel
mirino della Serenissima i primi obiettivi erano proprio Cividale e Cormons27. Nicolò de Portis, inviato
come ambasciatore patriarcale a Venezia, al suo rientro
espose al consiglio cittadino la drammatica situazione
che si andava profilando: «Dixerat eidem quod dominium Veneciarum habebat malum animum contra
hanc comunitatem, et quod certe intendit habere hanc
terram et Cormonum, quibus locis habitis, non dubitat
ducale dominium quin possit habere residuum Foroiulii»28. La risposta immediata fu il rinforzo delle difese
21
della ‘terra’, di cui rimangono tracce nelle delibere: il
6 maggio si dispose l’imposizione di una tassa (colta)
straordinaria e si deliberò di assoldare per un mese Cristoforo Prater con i suoi uomini d’arme e venticinque
cavalli; il 29 giugno si ordinò di precettare gli uomini
necessari per garantire la sorveglianza continua della terra e dei borghi. Il 4 luglio un consiglio allargato
(«quasi rengo») deliberò:
Super facto et modo aptandi miliciam et pedoniam;
Super facto et modo ponendi coltam pro reperiendo
pecunias, qui sunt necessarie pro solvendo stipendiariis;
Super facto et modo aptandi decenas (le decene erano i
gruppi che componevano la milizia);
Super custodia facienda tam in die quam in nocte;
Super factus Prater conductus et stipendiarii nostri cum
sua comitiva;
Super modo reperiendi pecunias pro murando burgos et
fortificando terram29.
La seconda tassa imposta in pochi mesi e l’incalzare dei
primi provvedimenti ci danno il polso di una situazione
che si faceva ogni giorno più critica, nonostante la diplomazia stesse lavorando in parallelo per intessere con
Venezia accordi di pace, puntualmente respinti30. Un
anno dopo Cividale si dichiarava allo stremo. Certamente non era la sola, ma dopo che i suoi ultimi appelli nelle
sedute del parlamento caddero nel vuoto, il 15 maggio
1419 un arengo composto da centossessanta membri
(quaranta per ciascun quartiere) deliberò all’unanimità
che si trattasse la pace con Venezia in separata sede. I
provveditori ser Zenone de Portis e ser Cristoforo di Ottobono, il miles Corrado Boiani, ser Nicolò de Portis, ser
Adamo Formentini, ser Bartolomeo Savorgnan, ser Virgilio Virgili, ser Zano di Blasutto del Ferro e ser Alessio
notaio di Giacomo da Attimis ebbero pieno mandato di
rappresentare la comunità, attenti a che essa conservasse alcuni privilegi («antiquas libertates et franchisias»),
ma soprattutto l’obbedienza alla chiesa di Aquileia. È
interessante notare come sul piano diplomatico la piccola comunità sul Natisone per due mesi sia riuscita a
tener testa a Venezia, che avrebbe voluto che i cividalesi
giurassero di essere «amici amicorum et inimici inimicorum suorum». Nelle disposizioni finali date ai propri
rappresentanti a Venezia – Nicolò de Portis, Simone di
22
Giovanniantonio e il notaio ser Alessio di Giacomo da
Attimis – spicca la volontà di Cividale di trattare fino in
fondo, ma anche di essere pronta a sacrificare Udine (e
il patriarca) prima di qualsiasi altra ‘terra’ friulana. L’ultima nota recita: «Et si hoc non poterit optineri, tunc
enim contra pathriarcam et Utinenses, non contra alios,
iuxta posse nostrum»31. La pace siglata tra l’11 e il 13
luglio per il patriarca e per Udine fu come una pugnalata alle spalle. Per Cividale invece la minaccia non era
affatto conclusa: di lì a poco un esercito di Ungari mandati dall’imperatore a sostegno del presule32 l’avrebbe
cinta d’assedio e costretta a una strenua difesa: «Contra
di noi fo tutto lo sforzo del contado di Gorizia, e quelli
de Udene fecerin tutto lo so sforzo contra de noi, cum
bombarde et multitudine de scale et mantheletti e tutti
cridavano “A Cividal, a Cividal, a sacomano”»33. Fu solo
la resa di Udine, nel giugno del 1420, a decretare la sottomissione definitiva del Friuli alla repubblica di San
Marco34, ma non la fine delle rivalità tra le ‘terre’ patriarcali. Esse negoziarono tutte separatamente con Venezia
la propria autonomia normativa e giurisdizionale e si
mostrarono ancora e sempre contrarie a cedere la rappresentanza dei propri interessi a Udine, la quale, dal
canto suo, «mirava a proporsi quale leader e portavoce
delle forze rappresentate dalle comunità»35.
Una nota di colore: dopo la firma degli accordi di
pace, uno dei modi per ufficializzare la sottomissione a Venezia era apporre le insegne della Serenissima
nelle sedi civiche, affiancandole a quelle comunali.
Cividale attese la seconda metà del 1422, quando il
camerario registrò le spese per «far far l’armadura
in plaza, per depenzer San Marco», commissionata a
maestro Antonio pittore per quattro ducati36. Udine
fu più ligia: quindici giorni dopo l’approvazione dei
patti con Venezia un san Marco campeggiava già nella
sala consiliare e le armi della Serenissima ornavano
la cancelleria, opera di Antonio di Tomasino Baietto.
Nei mesi successivi le stesse insegne cominciarono a
spuntare ovunque, dal palio, alle vesti dei rappresentanti del Comune37.
Il 1419-1420 in Friuli segnò l’epilogo di un’età gloriosa; il patriarca avrebbe tentato invano di tornare
nella Patria e riprendere il controllo della regione.
Per parte sua, nonostante la forte vocazione urbana e
un passato da protagonista, Cividale era e rimaneva
una ‘terra’. Fu uno smacco quando, da Roberto Morosini in poi, tutti i luogotenenti veneziani scelsero il
castello di Udine come loro residenza e quindi come
nuovo centro politico della regione. Il sogno di essere una città a tutti gli effetti, titolare di quella cattedra vescovile che le era sempre mancata, si infranse
invece alcuni decenni più tardi, nel 1465, quando il
pontefice rifiutò di creare dalle ceneri del patriarcato
i vescovadi indipendenti di Udine e Cividale38.
L’età di mezzo fu comunque il periodo d’oro di Cividale: all’alba del Medioevo Forum Iulii aveva strappato
ad Aquileia la palma di ‘capitale’; nell’autunno del Medioevo l’indomita Civitas Austriae cedeva quel primato
alla sua nemica, Udine.
1
ZACCHIGNA 1999b, p. 302, sottolinea l’emergere tardivo di Udine e le due
argomentazioni classiche della storiografia locale, tese a interpretare lo
sviluppo successivo: il ruolo politico-militare della famiglia Savorgnan
e quello finanziario dei prestatori toscani.
2
PASCHINI 1990, p. 364.
3
L’opera di Canussio era nata in risposta a una breve storia della regione
compilata dall’umanista Marcantonio Sabellico nel 1482, un testo che,
per nobilitare Udine, metteva in dubbio le origini romane di Cividale facendo leva sull’ambiguità dei toponimi Iulium Carnicum (oggi Zuglio) e
Forum Iulii (oggi Cividale): CANUSSIO 2000, pp. 19-20, 40-41.
4
Cfr. MAGNANI 2012, con la bibliografia ivi citata; a p. 43 per la citazione.
5
GASPARRI 2012, pp. 62-69, con la relativa bibliografia. Sull’impossibilità
di distinguere i ‘Longobardi puri’ dai ‘Romani puri’ attraverso gli scheletri si veda anche BARBIERA 2012, p. 220.
6
GASPARRI 2012, pp. 73-74.
7
PASCHINI 1990, pp. 234-235; CAMMAROSANO 1988, p. 88.
8
SCARTON 2012a, pp. 77-78.
9
Cfr. SCARTON 2012a, pp. 82-85, 99-101. Sull’impresa armatoriale di Bernardo da Cerclaria si veda LEICHT 1907. Per la figura di Swicherio, della
famiglia da Pertica, forse un avo dei Boiani, si veda anche FIGLIUOLO 2010
e FIGLIUOLO 2012b, p. 210.
10
Per tutti la fonte più completa sono i libri degli anniversari del capitolo e dei due conventi, editi da SCALON 2008.
11
TILATTI 1994 sottolinea inoltre come, nonostante ripetuti richiami, a
Cividale in particolare i domenicani si intromettessero frequentemente
nelle vicende temporali del patriarcato (p. 27); per la citazione cfr. p. 19.
12
Dopo aver descritto assai minuziosamente l’andamento dello scontro,
il cronista concluse: «Fratres predicatores composuerunt inter partes,
facientes trewas ad hoc ut recederent»: TAMBARA 1905-1906, p. 40. Sull’episodio si veda anche PASCHINI 1990, pp. 427-428.
13
SCARTON 2012a, p. 108; SCARTON 2012b, p. 314.
14
JOPPI 1892, p. 6. Della concessione del mercato rimane il diploma di
conferma concesso nel 1176 dal patriarca successivo, Ulrico II: SCARTON
2012a, p. 103; SCARTON 2012b, pp. 313-314; LEICHT 1937, p. 13; per lo
Statuto dell’Avvocato si veda LEICHT 1914.
15
Una serie dei gastaldi medievali dal 1125 (l’istituto fu soppresso nel
1797) fu ricostruita da GRION 1899, pp. 92-98, e da LEICHT 1898, pp. 83-86.
Sul ruolo del gastaldo si veda la rubrica 87 dello statuto trecentesco:
BENATTI 2005.
16
La chiusura oligarchica, consolidata attraverso metodi di elezione
poco chiari, crebbe nel corso del Trecento fino a sfociare nel 1404 in
una vera e propria rivolta popolare, un episodio sul quale già Michele
Zacchigna suggeriva di ampliare l’indagine: ZACCHIGNA 1999a, pp. 87-88.
17
Sui Toscani in Friuli cfr. FIGLIUOLO, PINTO 2010; il loro arrivo a Cividale
è indagato in FIGLIUOLO 2012a. Sui Lombardi cfr. DAVIDE 2008; sulle altre
componenti si veda SCALON 2008, in particolare vol. I, pp. 108-117.
18
A livello assistenziale è interessante notare come i nomi di molti dei
consiglieri del Comune si ritrovino anche negli elenchi degli iscritti alle
confraternite e tra gli ufficiali dei due ospedali principali: San Martino
(controllato dalla fradaglia dei Battuti) e Santo Spirito (SCARTON 2011;
SCARTON 2012c).
ZACCHIGNA 1999b, p. 303.
LEICHT 1955, p. XX.
21
Sulla figura del presule cfr. la biografia di BRUNETTIN 2004, con l’ampia
bibliografia citata. Sulla composizione del consiglio del comune di Cividale in età trecentesca cfr. SCARTON 2012b. Sullo scontro tra Cividale e il
patriarca cfr. PASCHINI 1990, pp. 482-489 e GRION 1899, pp. 55-61.
22
PASCHINI 1990, p. 503.
23
GRION 1899, p. 63.
24
LEICHT 1925, pp. 161-162; LEICHT 1954, pp. 80-81.
25
PASCHINI 1990, pp. 592-622.
26
Ivi, pp. 708-710.
27
La tregua era stata firmata a Castellutto il 17 aprile 1413: ivi, pp. 720721; per le mire su Cividale si veda p. 733.
28
LEICHT 1925, p. 519.
29
Cfr. il registro di delibere dal maggio 1418: BCC, AMC, G01-01, fasc.
1237, ff. 5v, 11r, 14r-v. Non è possibile verificare nel dettaglio le spese
difensive e le tipologie di interventi, perché per il 1418 è pervenuto solo
un frammento del registro del camerario del primo semestre, per i mesi
da gennaio a marzo.
30
LEICHT 1925, pp. 525-535.
31
BCC, AMC, G01-01, fasc. 1238, ff. 31r-v, 32v-33r, 34v-35r, 46r-v. Cfr.
anche GRION 1899, pp. 82-83 e doc. XIV (per i capitoli di pace).
32
Il 6 agosto 1419 il comune aveva pagato 5 ducati d’oro a Janchiglo,
famiglio di Adamo Formentini, perché si recasse verso Buda per indagare la notizia secondo cui seimila Ungari erano in marcia (ASU, DSF,
III/237, c. 262r); il 10 settembre avvisavano Venezia dell’imminente
arrivo di ottomila Ungari (ivi, c. 269r); il 20 settembre Janchiglo era
tornato e le dimensioni dell’esercito nemico erano ridimensionate a
quattromila (ivi, c. 272r); il 25 settembre furono catturate spie ungare e
patriarcali a Cividale e torturate nei giorni successivi (ivi, cc. 273v-274r).
33
GRION 1899, p. 84, che cita da Sturolo.
34
Pare che, per evitare devastazioni e saccheggi, Udine abbia versato alle
truppe veneziane trentamila ducati, ma nei registri dei camerari non ne
rimane traccia; del resto la resa si colloca proprio tra la fine della cameraria di Federico Savorgnan e prima della nomina del suo successore,
Pietro Peressini: GIANESINI 2007, p. 27.
35
DEGRASSI 2009b, p. 170.
36
Le spese sono sparse e riguardano la manodopera e vari materiali
(un carro, l’impalcatura, un setaccio, mezza libbra di colore azzuro
«oltra marin» e «quatordici peze d’oro fin»): BCC, AMC, G06-04,
cameraria 1421-1431, ff. XLVIIIIv-Lv (post 10.XI.1422). Non si sono
reperite spese di questo tipo nel periodo precedente, bisogna comunque ricordare che manca il quaderno della cameraria del primo semestre del 1420.
37
GIANESINI 2007, pp. 32, 111 (8.VII.1420). Sempre nella sala del consiglio in ottobre Giovanni Tuzulini aveva dipinto altre nove insegne,
tra cui un san Marco (p. 138); lo stesso santo fu raffigurato sulla veste
donata a un corriere incaricato di portare lettere al luogotenente nel
marzo del 1421 (p. 169) e sul drappo del palio delle balestre di giugno
dello stesso anno (p. 149).
38
PASCHINI 1990, p. 757.
19
20
23
Bibliografia
Archivi e Biblioteche
AACU
AACU-C
ACAU
ACD-H
ACU
AMC
ANA
AOC
APSC
ASU
Battuti
BCC
BCCr
BCU
DSF
FP
MANCiv
MANCiv-AB
S. Spirito
[Antico] Archivum civitatis Utini, Udine, Biblioteca civica «Vincenzo Joppi»
Catastico dell’[Antico] Archivum civitatis Utini, Udine, Biblioteca civica «Vincenzo Joppi»
Archivio della Curia Arcivescovile di Udine
Antico Archivio della Comunità di Cividale, Lorenzo d’Orlandi
Udine, Archivio capitolare
Cividale del Friuli (UD), Archivio Magnifica Comunità
Archivio notarile antico
Cividale del Friuli (UD), Archivio dell’Ospedale
Udine, Archivio parrocchia di San Cristoforo
Udine, Archivio di Stato
Udine, Archivio Confraternita di Santa Maria dei Battuti
Cividale del Friuli (UD), Biblioteca Civica di Cividale
Crema (CR), Biblioteca civica
Udine, Biblioteca civica «Vincenzo Joppi»
Documenti Storici Friulani
Fondo principale
Cividale del Friuli (UD), Museo archeologico nazionale
Cividale del Friuli (UD), Museo archeologico nazionale, Archivi e Biblioteca
della Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici
Confraternita e ospedale di S. Spirito
Abbreviazioni
b.
n.
q.a.
tav.
busta
numero
quaderno di amministrazione
tavole
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Referenze fotografiche
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Finito di stampare
nel mese di luglio 2013